Cosa ci spinge ad andare?
Spesso è il nostro passato a modellare il presente
e condurci.
Ci sono luoghi cui apparteniamo senza esserci mai
stati perché sono dentro di noi, proiezioni di sogni ad occhi aperti.
Andare in questi casi è un tornare.
Chamonix, Courmayeur sono tra i
toponimi che risuonano in me dall’infanzia.
A volte nella vita le cose si combinano in modo
casuale ma perfetto: ègiuntoILmomento.
Siamo arrivati di sera in Valle d’Aosta, dopo un
lungo viaggio attraverso la Pianura Padana.
La macchina corre decisa direzione Courmayeur-Monte
Bianco. Iniziamo a leggere i cartelli stradali e sale l’eccitazione
nonostante la stanchezza di un lungo viaggio.
E’ mesi che fantastichiamo e adesso ci siamo, quasi.
Intorno i paesi e i castelli illuminati sembrano
annunciare in anticipo il Natale; oltre, l’immensità scura, potente, di
montagne enormi di cui non si percepisce ancora il profilo ma di cui si sente
forte, grave, stabile, la presenza.
Gallerie, strada, musica, gallerie, cuore in gola,
stanchezza, felicità, attesa.
Arriviamo finalmente a Courmayeur, questo luogo
mitologico che fino ad oggi emanava fascinazione semplicemente pronunciandolo.
Piove.
Non importa, siamo a Courmayeur.
Stremati sorridiamo e andiamo ad annunciarci all’Hotel
Berthod. Facciamo una piccola passeggiata di ricognizione per il centro. Fuori
non c’è nessuno, è giovedì sera, piove. Ogni edificio è ristrutturato con cura,
il legno e la pietra regnano sovrani tra i materiali da costruzione utilizzati.
I tetti in ardesia conferiscono agli edifici un accento scuro e in armonia con
l’ambiente. Intorno non si vedono le montagne.
Tutto è coperto dalle nuvole.
Sento la pioggia in faccia, sorrido al cielo
notturno, gonfio d’acqua. So di rischiare di vedere nei giorni successivi uno
spettacolo che non potrò mai più dimenticare.
La camera dell’hotel è una bomboniera dal gusto
moderno, diventerà la base in cui riposarsi, ristorarsi e da cui ripartire per godere
lo spettacolo delle cime innevate.
Il primo giorno si conclude.
Non abbiamo programmi precisi per l’indomani. Non
contano i programmi. Tutto si svolgerà come dovrà. Senza forzature, come un
fiume che scorre, naturalmente.
Il giorno successivo ancora grigio, nevischia.
Andiamo dallo skiman di fiducia per portare la tavola da snowboard per
il tuo esame di riconferma istruttori. Siamo qui principalmente per quello.
Mi indichi la partenza della avveniristica funivia SKYWAY
e la strada che porta dritti al traforo del Monte Bianco. Ingenuamente ti dico
“E se andassimo a Chamonix oggi?”, risposta “Perché no?Andiamo!”.
E così, attraversiamo la base della montagna più
alta d’Europa. La galleria è molto più stretta di quanto immaginassi. Se
ripenso all’incidente del 1999 sale l’ansia e quindi cerco di distrarmi
parlandoti.
Tu hai vissuto tutto in prima linea come pompiere
in quegli anni in cui vivevi a Courmayeur.
Alle persone del casello d’ingresso racconti con
emozione di essere stato lì in quelle giornate terribili e la risposta è stata
“Onore a te e al vostro servizio”. Restiamo senza parole per questa frase che
sa di valori quasi dimenticati, di rispetto per chi rischia la propria vita
ogni giorno per salvarne altre.
Il tunnel è lungo e nel tragitto mi racconti di
come l’abbiamo ammodernato e migliorato. Mi sento più tranquilla.
Sbuchiamo in Francia ed è neve ghiacciata questa
volta contro parabrezza. Il paesaggio intorno non si vede perché le nuvole sono
troppo basse.
Leggo il cartello Chamonix. Altro luogo
mitico sentito pronunciare in famiglia migliaia di volte. Altro luogo della
mente che inizia a prendere forma man mano che le ruote del “Galeone”, così
chiami il tuo furgone, si avvicinano al centro cittadino, perché Chamonix dà
subito l’impressione di essere una città.
Parcheggiamo la macchina, non c’è troppa gente. Mi
colpisce subito la dimensione urbana del luogo, mi aspettavo un paesino di
montagna. La via principale che taglia il centro è un susseguirsi di
attrezzatissimi ed eleganti negozi di sport e pasticcerie che sembrano boutiques.
Inizio a scattare le prime fotografie, iniziamo ad
assaggiare qualche prodotto locale, squisiti croissant salati ripieni di
favoloso morbido formaggio di capra.
Ci guardiamo sorridendo, senza dire una parola,
storditi da questo tripudio di sensazioni.
Chamonix è una piccola Parigi d’alta quota con
tanto di museo e caffè che sembrano proiezioni lontane della capitale francese.
Nel pomeriggio inizia a nevicare ed è subito magia.
Lontani da casa, in un luogo mitologico vivendo il presente. Non si può
desiderare niente di più.
La sera torniamo stanchi ma appagati, sentiamo dire
dai locali che probabilmente il giorno seguente ci sarà il sole. Tutti lo
sperano, è settimane che piove e nevica. Domani apre anche lo SKYWAY, la
funivia che collega Courmayer a Punta Helbronner, quota 3466 m, proprio di
fronte a “Sua Maestà”.
E’ la nostra unica chance di vedere il Monte Bianco.
Ci addormentiamo pieni di speranze.
La mattina ci svegliamo all’unisono alle 6.45.
Corri alla finestra e mi dici: “Guarda fuori!”.
Assonnata penso che è buio, che non si può vedere
niente. Ma seguo il consiglio.
Scosto la tenda e rimango sbalordita dallo
spettacolo di fronte ai nostri occhi increduli: il cielo di un blu profondo,
quasi nero, su cui si staglia questa montagna enorme, bianca, scintillante nel
buio della notte che lascia spazio al giorno. Le prime luci dell’alba fanno
risplendere i cristalli di neve che si accendono come miliardi di invisibili
lampadine.
Sono sconvolta; quello che vedo va ben oltre ciò
che avevo immaginato.
Questa è stata la prima visione della catena del
Monte Bianco, in tutto il suo splendore.
Indosso di fretta il tuo maglione e mi catapulto
fuori ad immortalare quel momento.
Non vedo più niente per un attimo. Mi scendono
dall’emozione le lacrime.
Passano i minuti e la magia cambia, insieme alla
luce.
Ciò che aveva inizialmente un carattere quasi onirico inizia a prendere forma e diventare tangibile.
Ciò che aveva inizialmente un carattere quasi onirico inizia a prendere forma e diventare tangibile.
Il Monte Bianco è là dietro e non potevamo sperare
in una giornata migliore.
Facciamo colazione senza staccare gli occhi dalla
finestra. L’autunno incombe con i suoi colori. Le sommità arancioni dei larici
lottano per trovare respiro oltre la coltre di neve.
Attraversiamo con la macchina le strade ormai
sgombre. Il “Galeone” corre veloce verso l’attacco della funivia.
Paghiamo il biglietto e ci imbarchiamo su questa
“navicella speciale” che salendo ruota di 360 gradi permettendo ai turisti di
ammirare il panorama. Di sottofondo una musica bassa ma emozionante mi ricorda Vangelis.
Le condizioni meteo sono semplicemente perfette. In cielo nemmeno una nuvola.
La neve scintilla sotto il sole.
Arriviamo alla stazione intermedia al Pavillon du
Mont Frety, sono sbalordita dal paesaggio e mi assicuri che questo è ancora
poco rispetto al quello che vedrò in cima. Usciamo a respirare l’aria pungente
e a scattare foto.
Vediamo un elicottero in volo salire oltre il
secondo troncone di funivia. Alcuni giri di ricognizione e poi atterra. Vediamo
un capannello di persone guardare verso punta Helbronner, capiamo subito che
qualcosa non va. Speriamo non sia niente ma poco dopo vediamo una ragazza
scoppiare in lacrime.
I turisti all’interno della prima splendida
stazione dalle pareti di vetro godono del panorama e dell’emozione dell’ascesa
in uno dei paesaggi di montagna più straordinari di tutta Europa. Fuori si sta
consumando una tragedia di cui non si conoscono ancora i contorni. Vita e morte
si toccano nell’assurdità di un attimo che diventa eterno per chi sta vivendo o
ha vissuto simili tragedie.
Torniamo dentro, in silenzio. Non capiamo bene cosa
sia successo. Tutto appare frammentato, poco chiaro. Spero le mie sensazioni
siano sbagliate. Probabilmente si tratta di una valanga. Mi consoli dicendo che
spesso i discesisti vengono ritrovati vivi. Il mio pessimismo mi fa pensare al
peggio.
Decidiamo di salire ulteriormente e nonostante
tutto. Cerchiamo di concentrarci sulla bellezza mozzafiato del paesaggio ma i
nostri pensieri corrono sempre all’elicottero.
Appena “atterrati” restiamo a lungo da soli a
guardare il connubio perfetto tra natura e architettura.
Scattiamo una marea di foto, ogni angolazione
regala uno scatto diverso. La luce è semplicemente perfetta.
Ci addentriamo nella seconda stazione di SKYWAY e
troviamo una bellissima libreria della Feltrinelli vista Monte Bianco. Un
sogno: i libri, la montagna.
Poi una collezione di cristalli meravigliosi di
tutte le forme e i colori.
Ma il vero spettacolo è fuori, sulla terrazza che
permette una vista a 360 gradi del Monte Bianco, del Dente del Gigante, de Les
Grande Jorasse, e poi in lontananza il Cervino e il Monte Rosa.
Saliamo e ci troviamo tutte queste vette mitologiche
di fronte. Siamo senza parole. Per un attimo spariscono i turisti e restiamo di
nuovo in silenzio a guardarci introno. E’ tutto vero e a pochi passi da noi.
D’un tratto tornano alla mente i libri e i racconti
delle ascese di Walter Bonatti, i racconti di famiglia. Tutto si condensa in
quell’attimo. Sono consapevole di vivere un’esperienza che resterà unica ed
indelebile nella mia mente.
Guardo la cima della Grande Montagna e vedo uno
sbuffo di neve sulla sommità e non posso non ripensare alle grandi vette
himalayane e agli occhi degli alpinisti sempre rivolti alla cima.
Ci abbracciamo forte nella consapevolezza di
trovarci esattamente dove abbiamo fantasticato tanto volte di tornare.
La luce e l’euforia delle persone alla vista di
questo spettacolo naturale stridono con le facce scure di alcune guide alpine
che continuano a guardare lungo il canalone.
E il cielo sembra d’un tratto di una gradazione più
scura.
I profili del Bianco compaiono all'alba dalla finestra d'albergo |
Il Dente del Gigante |
La stazione di arrivo della funivia SKYWAY |
Ombre proiettate sui ghiacci del Bianco della funivia |
La mole imponente del Monte Bianco così come appare da Punta Helbronner |
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