Avrei voluto scrivere altro ma…..
Ebbene si, è passato un po
di tempo dall’ultimo mio articolo nel blog e ho ben 3 post in lista d’attesa
ma….niente dovevo cambiare articolo, dovevo mettere giù anche io a caldo le
impressioni su quanto accaduto in questi ultimi giorni di ottobre 2018 sulle
nostre montagne venete. Qualcosa di sconvolgente a tal punto da non pensare ad
altro che a questo; mi riferisco all’evento alluvionale provocato dalle
incessanti piogge e venti fino a 190 km/h che si sono abbattute su gran parte
delle Dolomiti e delle montagne del nord-est.
Stiamo parlando di un evento
davvero eccezionale, qualcuno lo paragona alle alluvioni del 1966, quelle che
tutti ricordano soprattutto per l’esondazione del fiume Arno a Firenze ma che
fece gravi ferite anche qui dalle nostre parti.
In soli tre giorni dal 28 al
30 ottobre 2018 abbiamo raggiunto picchi di accumulo di pioggia pari a 400-500-600
mm di acqua per metro quadrato, praticamente metà di quella che ne cade a
Rovigo in un intero anno. L’evento è stato però accompagnato da venti
paragonabili ad uragani di forza 3 e 4 causati da vento caldo di Stau che sceso
a raso terra a quelle velocità ha spazzato via con effetto domino ettari ed
ettari di secolari boschi di abete e faggio che ricoprono molte vallate
dolomitiche ma anche della Carnia, del Vicentino e del Trentino. In poco tempo
i torrenti si sono ingrossati a tal punto da esondare accompagnati da colate
detritiche, fango, smottamenti e tronchi. Le strade hanno cedute sotto il
terreno eroso, molti ponti crollati, linee elettriche saltate, case, frazioni,
interi paesi isolati, senza luce e acqua potabile oltre a danni a molte
abitazioni in particolare dovuto al forte vento che ne ha scoperchiato i tetti.
Stiamo parlando di un area davvero estesa, che partendo da ovest ha interessato
nel territorio del Trentino Alto Adige la val di Sole (dove è esondato il
Noce), la val d’Ultimo, il boschi vicino al lago di Carezza, la Val di Fassa, i
boschi secolari della Val di Fiemme e Paneveggio, la Valsugana e Lagorai, gli
altipiani cimbri di Lavarone e Folgaria e ancora nel Vicentino l’Altopiano di
Asiago dove pare sia stato decimato il 25% del patrimonio boschivo tanto caro a
Mario Rigoni Stern. In Veneto i danni maggiori in provincia di Belluno,
interessata tutta la provincia ma dove il territorio dell’alto Agordino, dello
Zoldano e del Comelico ha subito le ferite più gravi. Ed ancora in Friuli
Venezia Giulia interessando l’alta provincia di Pordenone e la Carnia nella
provincia di Udine. Una catastrofe, danni ingenti al patrimonio pubblico e
privato che da una prima stima solo in Veneto pare arrivi come minimo a 1
miliardo di euro.
Per fortuna le persone ferite sono state davvero poche in
considerazione dei fatti, grazie agli interventi tempestivi del Prefetto che ha
chiuso scuole e uffici pubblici per tempo evitando il peggio. (alla fine i
morti si contano in poche unità).
Un evento davvero eccezionale che ha però
ancora una volta messo in luce la fragilità del territorio montano già
difficile da governare, affetto da un continuo spopolamento, dalla mancanza dei
servizi di base, da speculazioni e sfruttamenti di vario tipo. Un territorio
dimenticato dalle sedi politiche centrali in primo luogo, perché zone troppo
lontane dai luoghi di comando, dove è presente un bacino di elettori troppo
limitato. Il poco interesse, almeno nell’immediatezza dell’evento si è
riscontrato anche dal fatto che i media nazionali e i Tg hanno dato poca
importanza all’accaduto, concentrandosi invece molti di più sugli yacht che in
quei giorni ormeggiati a Rapallo in Liguria erano stati distrutti da potenti
mareggiate.
Ma il popolo dei montanari,
abituato a far da sé non si è perso d’animo e ha messo in campo tutte le
energie e il fare squadra nei momenti difficili iniziando subito le prima
operazioni di sgombero del fango, dei detriti dalle strade, del taglio dei
tonchi caduti in strada. La straordinaria macchina della protezione civile e
dei vigili del fuoco ha permesso di lavorare subito sul problema e garantire
già dopo i primi giorni condizioni di netto miglioramento. La stima dei danni è
enorme, anche solo per riavere le condizioni di vivibilità che questi paesi
bellissimi avevano prima.
Sono luoghi patrimonio dell’Unesco dal 2009 ma
soprattutto luoghi per noi di straordinario valore paesaggistico che noi amanti
della montagna frequentiamo quasi quotidianamente con le innumerevoli attività
di escursionismo, alpinismo e di formazione che come CAI ci vede coinvolti in
prima persona. Siamo noi forse escursionisti soci ma anche semplici
frequentatori di queste zone che siamo rimasti potentemente colpiti da quanto è
fin da subito emerso.
E questa volta il ruolo dei
social sono serviti per documentare subito in diretta con foto e video i luoghi
della disgrazia e permettere di lanciare un grido di aiuto.
Vedere tanti luoghi
conosciuti, frequentati, amati da tutti noi ha provocato una ferita nei nostri
cuori ed ecco che subito si è attivata la macchina degli aiuti e dei tanti
volontari che si sono offerti a dare una mano di qualsiasi tipo, anche solo per
portare cibo e sostegno alla gente e ai soccorritori impegnati nei lavori
pesanti. Una disponibilità, un altruismo che dimostra ancora una volta, se ce
n’era bisogno, quanto questi luoghi siano amati da tutti noi, territori che
devono sopravvivere per il bene di tutti.
Molte di quelle valli,
di quei pendii, di quei torrenti non saranno gli stessi….ecco quello che più
sconvolge noi ma di sicuro prima di tutti la gente che vi abita è il sapere che
questi meravigliosi territori non saranno più come prima.
La conta dei danni
non tiene ovviamente conto di quell’innestimabile tesoro rappresentato dalla
rete di sentieri e rifugi gestiti proprio dal CAI. E proprio da qui noi dovremo
ripartire, perché dopo un cataclisma del genere si dovrà fare davvero uno
sforzo enorme e condiviso tra tutti i soci, perché è nostro dovere ripristinare
quanto prima tutti i percorsi in giro per le montagne che rappresentano il
perno del turismo e della fruizione montana.
La montagna non deve essere
lasciata sola, la montagna ha bisogno della pianura così come noi di pianura
abbiamo bisogno di poter godere di quelle bellezze patrimonio di tutti, questo purché
sia garantita la necessaria e corretta gestione.
Dobbiamo ripartire da qui,
tutti insieme, consci che la montagna deve essere riparata, sostenuta
economicamente, devono essere garantiti i servizi primari con investimenti
mirati allo sviluppo sostenibile dell’intera area, solo così con una montagna
presidiata e abitata si potranno mettere in opera tutte quelle azioni
necessarie per prevenire in futuro eventi disastrosi. Se ne sono resi conto e
lo sanno da sempre i loro abitanti, lo sappiamo bene anche noi amanti delle
terre alte, lo devono tenere in considerazione anche gli amministratori e chi
governa questo Paese.
Non abbandoniamo le Montagne, perché come dicono in
molti, è facile amare questi luoghi quando tutto funziona bene, la vera sfida è
amarla, tutti noi, anche oggi, forse con un’attenzione ancora maggiore,
consapevoli di quello che rischiamo davvero di perdere.
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